Sai quando il Paradiso è a due passi ma tu non alzi gli occhi al cielo da troppo tempo? Sai quando l’abitudine divora le tue membra e per svegliarti basterebbe un pizzicottino sulla guancia, o il graffietto di un bambino? Oggi mi sono sentita così, stabile sulle mie gambe. Felice della giornata di sole, del cielo terso, del mare all’orizzonte. Felice della vita che ho e che mi sono costruita, senza meriti ma con tante opportunità colte, con una fortuna grande più di quello stesso infinito muoversi delle onde. La fortuna di essere libera, di potermi muovere come meglio ho creduto, la fortuna di sbagliare e di sbattere il muso. Quella di potermi rialzare senza aver paura di ricamminare a testa alta.
In quella fortuna a volte ci si crogiola, se ne gode, ci si sente a proprio agio. E poi un giorno, complice una qualunque ragione che ti obbliga a fermarti, ci si annoia. La maternità è uno di quei momenti, la terza maternità poi, ti mette a dura prova. Ti emozioni, ma è un’emozione più consapevole, anche più nostalgica forse, perché è tra le tue inconsce certezze che sarà anche l’ultima volta che davvero avrai il privilegio di rallentare, di occuparti di un’anima nuova, di illuderti di plasmare un pezzo di te che si fa carne e sangue, pelle e cervello. Ecco, dopo una vita intera nella riviera ligure, mi sono resa conto di non essere mai stata a Borgio Verezzi. Eh no, quando ci si risveglia dal torpore, questa è una di quelle cose a cui bisogna porre rimedio, più che in fretta, alla prima occasione.
Ci si arriva da una strada tutta tornanti. La testa tende a stare fuori dal finestrino, la lingua ti si secca in questa posa canina, inebriata dal profumo di ginepro, timo, lavanda, e di chissà quante altre piante aromatiche che neanche ri-conosco. “Uno dei borghi più belli d’Italia” dicono i cartelli. Non so bene cosa aspettarmi, forse un paesino medievale, con tanti negozietti, chissà. Ma Verezzi è molto di più. Un grande parcheggio a spina di pesce precede l’entrata in paese. Scendiamo dalla macchina come al solito carichissimi, non si sa come ma con tre figli l’essenziale diventa davvero invisibile agli occhi, caro il mio Saint-Exupéry: passeggino, borsa coi cambi (non si sa mai che in collina faccia freddo, e poi almeno un pannolino, e vuoi non portare dell’acqua, la borsina frigo con qualcosa da dare a Lindibussi mentre noi ci permetteremo un ristorante? E Sgretolins è in sandali, forse un paio di scarpe da tennis, se ci vien da camminare…).
Il passeggino lo parcheggeremo appena percorse le prime stradine di pietra, incastonate nella roccia, apparentemente inalterate da secoli, che ci portano nella piazza principale. Ci accoglie una vista sul golfo davvero suggestiva, un panorama mozzafiato, un’intima e incantevole chiesetta del Trecento, e un bar con sedute e tavoli in ferro bianco: un sogno. Mentre ci godiamo questa piazzetta i bambini sono già spariti tra i vicoletti. Un sentiero costeggia le poche case, e io sono così inebriata da tutto che mi sento un po’ Piero Angela. Ogni due passi fermo i piccoletti coi miei indovinelli: “e quello che albero è? Un fico. E quello? Un ulivo! E quelli che fiori sono? Delle calle. E guarda, un albero di limoni, e di mandarini! E guarda, questa è salvia. Uuuuuu venite ad annusare la lavanda! A un certo punto li faccio anche fermare sopra un tetto perché in fondo ‘non avete mai visto un tetto dall’alto, guardate le tegole come sono messe!’ Ecco, lì vedo la faccia del Micio che è un po’ meno leggero di me, perché ha in braccio Bussi, un rinomato NON peso piuma, e capisco che di questo passo non faremo più di 50 metri. Acceleriamo. Arriviamo a una fontanella tagliata nella pietra viva, i bimbi bevono dopo aver ripassato la formula magica insegnata dal papà: “Acqua di sorgente, l’ha bevuta il serpente, l’ha bevuta Dio, la posso bere anch’io“. Che poi in realtà la vera filastrocca in genovese è cosi:” Aegua corrente, ghe passa o serpente. La beve Iddio, la bevo anch’io”.
Al ritorno il richiamo del bar coi tavolini bianchi è troppo forte. E meno male che ci sediamo, perché l’esperienza di questo pasto si incastra perfettamente nella pace delle rocce e nella luce di questa giornata. La signora accanto a noi prima di alzarsi per andare a pagare ci fa i complimenti per quanto siano bravi i bambini, e solo questo ci ripaga di tante fatiche, sgridate, dubbi quotidiani. Forse chi ha figli piccoli può capirlo: a volte bastano poche ore di serenità assoluta, senza bisticci, senza ansie, per farti credere che in fondo sei sulla strada giusta, che forse non stai sbagliando tutto, che nessuno ti insegna a fare il genitore ma che dopotutto i ragazzi stanno crescendo sereni, e stanno imparando a stare al mondo. Persino Lindibussi, miracolosamente, credo per la prima volta nell’arco della sua intensissima vita, ha passato un intero pranzo seduta nel passeggino senza lamenti continui, senza girare tra le braccia di tutti per essere distratta, senza essere allattata, senza piangere. Anzi, osservava e mi guardava e applaudiva, sorridendo coi suoi due dentini ben in vista, come per ringraziarci di questa bella giornata.
Il bar comunque si chiama Torre Antica https://www.facebook.com/Bar-Torre-Antica-Verezzi-1746472485597193/ il menu è semplice ma di ottima qualità, a prezzi ragionevolissimi e il servizio è strepitoso. Le portate sono curate, servite su plateaux di ardesia, abbondanti ma stilisticamente equilibrati. I bambini hanno smesso di mangiare per guardare come il barman stesse decorando due cocktail, incantati dall’accuratezza dei gesti, dal fatto che la frutta non cadesse di lato…Forse mi è così piaciuto perché l’amore con cui i gestori vivono il loro mestiere e trattano la clientela mi ha ricordato lo spirito con cui si lavorava nel mio bar, a Bruxelles.
Ma anche questa è un’altra storia. Assolutamente da raccontare, a tempo debito.
L’ardesia, la torta di mele fatta in casa servita con una spolverata di zucchero a velo, la macedonia abbondante e divisa per colori, come una bandiera in una coppetta di vetro. La bruschettona gourmande ma difficilissima da mangiare, le verdure grigliate aromatiche e condite perfettamente…Persino il caffè è buono, e degustato davanti a questo panorama ha il sapore del presente, del coraggio, del mare di opportunità che speriamo di dare ai nostri figli.