L’ho rincorsa per mesi Anna Podestà, la responsabile della Scuola Dadà di Milano, micronido e green project bilingue dagli 0 ai 6 anni. Da quando ho scelto questo nido per Bussi ho sempre pensato di doverla intervistare. Non è una donna qualunque Anna, e di quello ci si accorge subito, al primo colloquio. L’intervista di questa mattina mi ha dato conferma dell’unicità non solo del suo approccio, ma anche della sua persona. Milanese da generazioni, mamma di tre figli, durante l’infanzia ha trascorso tutti i suoi fine settimana in una casa in montagna, circondata da un enorme giardino recintato. E’ lì che, più o meno in solitudine, certamente senza molti giochi ma con tanta libertà, ha sviluppato la sua fantasia e il suo amore per la natura. Fino all’adolescenza è cresciuta così, nella semplicità di una famiglia tradizionale, senza grilli per la testa.
Anna, se non facessi il tuo lavoro, cosa saresti? Non credo potrei essere altro…forse una guardia forestale, mi risponde sorridendo. L’amore per la natura è di certo ciò che la contraddistingue. Scherzi a parte, sono un’ipercinetica, un martello pneumatico, e lotto tutti i giorni per assicurare il miglior modello educativo possibile ai nostri bambini.
Che cosa diresti dei bambini di oggi, dopo vent’anni di esperienza come pedagogista? Che non sanno correre! – vede il mio sguardo stupito – Davvero, molti hanno una capacità motoria notevolmente ridotta per la loro età, perché non sono abituati a sperimentare, a cadere, a sporcarsi. Non osano più neanche in una fascia di età, quella tra gli 0 e i 6 anni, in cui potrebbero permettersi tutto. Per esempio? Camminare per strada canticchiando, metterci 5 minuti per scendere due scalini, scegliere con cosa giocare. Oggi tendiamo a voler crescere dei bambini preconfezionati, troppo guidati in ogni loro singolo passo, bambini che di conseguenza rischiano di avere poca fiducia in sé stessi. Con l’approccio della pedagogia esperienziale le nostre educatrici non impostano la giornata su una routine specifica e uguale per tutti, ma accompagnano il bambino nelle sue scoperte, con un approccio personalizzato. Gli permettono di scegliere con cosa giocare, spesso affidandogli dei materiali non strutturati o di riciclo. In cosa questo approccio è migliore? Nel fatto che il bambino, inserito in un contesto sicuro e affettuoso, può permettersi di essere libero nelle sue scelte. E con la libertà viene la responsabilità, non dimentichiamolo. Inserito in un ambiente sicuro, il bambino è protagonista attivo della sua giornata e con la sua fantasia e il suo potenziale (immenso!) può giocare con un pezzo di legno come se fosse una macchinina, un aereo, una casa. Una macchinina invece, resterà sempre e solo una macchinina.
Con un simile approccio le educatrici immagino abbiano un gran da fare. Come le scegli? Il rapporto educatrici/bambini è effettivamente importante. E’ chiaro che è necessario ci sia abbastanza personale per assicurare la compresenza. Per quanto riguarda la selezione, oltre al fatto che le educatrici siano laureate, quel che è più importante è la loro sicurezza emotiva. Scelgo ragazze non giovanissime, piacevoli, in buona forma fisica. Il lavoro è stancante ed emotivamente può essere davvero impegnativo. Non si ha a che fare solo coi bambini, ma anche con i genitori, e questo richiede una buona capacità comunicativa e sicurezza di sé. E poi mi baso sull’istinto. Le educatrici fanno un lavoro per cui sono tutti i giorni in prima linea, agli occhi del bambino sono la loro figura di riferimento dalla mattina a fine pomeriggio. Cerco sempre delle ragazze qualificate, tengo molto al loro aggiornamento formativo, e sono assunte a tempo indeterminato. E una volta assunte, poverine, sto loro dietro a lungo per assicurarmi che i loro atteggiamenti riflettano l’educazione in cui credo. Ci sono sfumature nei toni della voce, o nei modi, che fanno la differenza. E’ un’educazione invisibile che giorno dopo giorno dà sicurezza ai nostri bambini, li fa arrivare alla mattina sereni e li fa andare via tranquilli la sera. Il bambino è al centro della nostra giornata, nella sua unicità. Il nostro obiettivo è innanzitutto che stia bene e si diverta. E per i genitori che non hanno i nonni a disposizione o che hanno voglia di farsi una notte di sonno tranquilla, abbiamo aperto il servizio notturno. Uno spasso!
Anna, una domanda scomoda: mi parli sempre al femminile. Eppure ci saranno anche pedagogisti uomini. Perché ci sono solo educatrici donne alla Scuola Dadà? Purtroppo è un problema generale del mondo dell’educazione. Soprattutto nella fascia 0-6 anni. Ho provato ad assumere uomini, ma purtroppo la nostra società non ha reagito positivamente. In che senso? Nel senso di madri che non volevano che le loro figlie femmine venissero cambiate dall’educatore, o di mariti gelosi del rapporto tra l’educatore e la moglie. Ma dai! Davvero, e purtroppo la ASL non aiuta: se nella struttura è previsto un educatore siamo obbligati ad avere un bagno solo per lui per esempio, e uno spogliatoio dedicato. Noi qui in Corso Italia ce l’abbiamo, ma capisci che questa norma è una barriera per chi magari vuole assumere un uomo ma ha una struttura un po’ vecchio stampo. In genere i pedagogisti è più facile che lavorino con fasce di età più alte, o nei servizi ai disabili.
A proposito di uomini, tuo marito ti sostiene in questo tuo lavoro? Ho visto che nella nuova Scuola nel Bosco, che hai aperto in Valsassina, è possibile organizzare anche feste durante il we. In più fai consulenze e tieni dei seminari… Come concili la vita familiare con quella professionale? Sono molto fortunata: se ce la faccio è perché nella mia vita c’è Giorgio. Non solo mi sostiene, ma mi incoraggia, mi aiuta, e dà un senso a tutti i sacrifici che questo lavoro comporta. L’apertura della Scuola nel Bosco (www.facebook.com/scuoladadanelbosco/) è stata una scommessa. Quest’estate abbiamo aperto i primi centri estivi in questa stupenda villa del ‘900 attorniata da 5000 ettari di terreno, e Giorgio, compatibilmente con il suo lavoro, è stato su in Valsassina ad aiutarmi. I nostri tre figli hanno partecipato, ed è stata un’occasione per tutti e 5 di passare del tempo speciale insieme, così raro nella nostra routine milanese. Il ritorno che dà questo lavoro è per tutta la nostra famiglia un grande arricchimento emotivo; senza il supporto di mio marito di certo non sarebbe possibile. Wow, che dichiarazione d’amore, posso scriverla? Certo, in fondo è questo che resta.
La vera ragione per cui si fa un lavoro come il mio o ce l’hai nell’anima o non ce l’hai. Ecco come scelgo le mie educatrici: sono persone che hanno nel cuore questo innamoramento per l’educazione, e nella testa la consapevolezza dell’importanza dei loro gesti quotidiani.
Tra gli 0 e i 6 anni si plasmano le personalità, si vivono le prime esperienze, si fanno i primi passi e si dicono le prime parole. Se i genitori devono delegare, o vogliono delegare, è importante che possano scegliere consapevolmente a chi lasciare i loro bambini. Anna e il suo team della Scuola Dadà lavorano tutti i giorni per crescere bambini sereni, consci delle proprie potenzialità, curiosi e felici di stupirsi. Non appena ho messo piede nella Scuola Dadà la prima volta ho percepito una differenza abissale con le atmosfere dei nidi tipici che hanno frequentato i miei due altri bimbi in Belgio. Mi fa piacere raccontare di un’eccellenza italiana. Bussi è nata con la camicia, nel vero senso della parola. Una bambina fortunata.