Spunti dal carcere – L’intervista a Silvana Ceruti

Milano – 04.06.2019 – Silvana Ceruti, da venticinque anni volontaria animatrice del laboratorio di lettura e scrittura creativa nel Carcere di massima sicurezza di Opera. Ambrogino d’oro 2012


E’ cominciato per caso il mio viaggio in carcere. Ho intervistato Margherita Lazzati e grazie a lei sono entrata in contatto con altre persone che dedicano parte del loro tempo, parte della loro vita, alla relazione con i detenuti del carcere di massima sicurezza di Opera. Quello che ho capito dalle mie interviste ai volontari del Laboratorio di scrittura creativa è che al di là delle proprie competenze e dei propri mestieri, questi volontari costruiscono relazioni, danno qualche ora di umanità e di libera espressione a persone che hanno perso il lusso della parità di discussione con l’altro.

I detenuti non godono più del beneficio del dubbio. Loro sono gli sbagli che hanno fatto, hanno il marchio indelebile del loro debito con la società. Lo avranno per anni, a volte per lustri, a volte per decenni. C’è chi lo porterà con sé fino al 9999, i cosiddetti “Fine Pena Mai”. Il debito lo pagano in 1400 a Opera, di cui solo 200 hanno accesso a corsi o attività ricreative, tutti gli altri sopravvivono in un sistema che li nutre e li tiene in vita, ma che nella maggior parte dei casi non permette la riabilitazione dei soggetti. Nelle carceri italiane la recidiva media è del 70-80%, ovvero: la ‘rieducazione carceraria’ non funziona, sempre che di questo si possa parlare.

‘Dal carcere si esce peggio di come si è entrati’, mi dice Silvana Ceruti, che da 25 anni tutti i sabati mattina tiene il Laboratorio di lettura e scrittura creativa per i detenuti del Carcere di Opera. Silvana è una signora luminosa, rossa di capelli, di verde vestita, una ex-insegnante elementare ironica e molto sensibile, capace di confidenze profonde, di condivisione e di fiducia. La sua casa odora di orchidee, di gerani, di piante di ogni tipo. Sul balcone ha persino un fico, una vegetazione rigogliosa in pochi metri quadri che stona con il cemento fuori. Non mi stupisce che sublimi le anime che ha davanti durante il laboratorio. Non mi stupisce affatto.

Mi conosce per un’ora e si commuove alle lacrime parlandomi di alcuni ‘poeti’ conosciuti ad Opera, con cui ha condiviso a volte per lustri interi i suoi sabati mattina. Mi fa nomi e cognomi, mi mostra le antologie di poesie da loro scritte, e a loro dedicate. ‘Lui non ha parlato per un anno, dopo l’arresto, Lui aveva cominciato a lavorare a 11 anni, e oltre a quello e al carcere non ha mai conosciuto altro, Lui è stato vittima di soprusi per gran parte della sua infanzia…’ Non c’è buonismo nella sua voce, non ci sono finti moralismi, ma c’è una chiara intenzione di andare ‘oltre’ gli sbagli fatti da quelle persone, c’è la voglia di scovare il pregevole che c’è nell’altro e di dargli spazio.

‘Tutti noi abbiamo l’aspirazione alla felicità’ dice Silvana. ‘Ma per ognuno significa qualcosa di diverso, e non tutti hanno la capacità o la fortuna di evitare le strade sbagliate. Da quel che ho visto la devianza spesso viene dalla bassa estrazione sociale, da bisogni non soddisfatti, da difficili rapporti con gli altri. A volte viene da soprusi subiti, e ripetuti, che associati a un carattere ribelle o a un momento di fragilità della ragione, permettono ai più bassi istinti di agire’.

Cosa porti dentro il carcere, il sabato mattina? 

Una testa d’aglio. Ehhhh? In che senso Silvana? Il carcere è duro, è disciplina, è regole, muro e orari. La poesia è un modo diverso di guardare alla realtà che si ha davanti. Una testa d’aglio aperta può diventare un bozzolo di confetti, o un fiore, e ribaltata può essere una cupola. La poesia non è fuori, ma nei tuoi occhi. E’ importante fare poesia sul superfluo, su ciò che di solito non si nota: noccioli di ciliegia, francobolli usati, tappi…La creazione è un viaggio di ascolto verso di sé, fa dire cose che con la logica non sono formulabili. Tira fuori l’inespresso, e per i detenuti il laboratorio si associa alla consapevolezza di essere ascoltati, a volte dopo settimane o mesi di attesa che arrivi il permesso di partecipare.

Quindi per loro è una libera scelta? Come si svolge il Laboratorio del sabato?

Quelli che ottengono il permesso, a volte appunto dopo lunghe attese, si siedono intorno a un tavolo. Ad oggi gli iscritti sono una ventina. Cominciamo sempre con la lettura di testi e una discussione sulle parole utilizzate o sui concetti. E’ intenso per loro condividere ciò che possono aver scritto nella solitudine di una cella. Questa attenzione è già di per sé un riconoscimento della persona. Tutti abbiamo bisogno di gratificazioni, soprattutto quando facciamo qualcosa di positivo, quando decidiamo di essere nel giusto, nel buono. E’ così che si accende il desiderio di continuare per quella via. E’ solo sottolineando il positivo che c’è nelle persone che le si invoglia ad essere la migliore versione di se stesse. Già come maestra elementare usavo molto la poesia, l’immaginazione, la creatività: i bambini sono esseri attenti e plasmabili e gli insegnanti hanno una grande responsabilità, poiché già in tenera età si possono accendere o spegnere passioni, trasmettere messaggi che saranno alla base di tutta una vita. La poesia ha una grande forza educativa.

Dove trovi l’energia per andare ogni sabato, da vent’anni, al Laboratorio?

L’obiettivo è innanzitutto quello di stare bene tra persone: è a questo che non riesco a rinunciare. Certo a volte sono stanca, ma è molto arricchente. Durante l’intervallo mangiamo sempre qualcosa insieme, poiché la convivialità e il senso di comunità e di gruppo sono alla base di qualunque scambio. Circa due volte al mese ospitiamo autori, musicisti, artisti, illustratori, ospiti che abbiano voglia di dare qualcosa di sé, di dedicare del tempo e dell’energia offrendo quello che sanno fare. E’ un progetto complesso, che può evolvere in molti modi, con la volontà e il senso del servizio verso gli altri. Quest’anno per esempio siamo stati a Matera, Capitale europea della Cultura 2019, con alcuni brani e con le bellissime fotografie di Margherita (Lazzati ndr). Per alcuni dei nostri poeti la scrittura diventa una possibilità di vita, a volte l’unica.

Mi piace finire questo articolo con la poesia che più di tutte mi ha colpito, a dire il vero suggeritami da Ornella Bonetti, un’altra volontaria, a cui dedicherò un altro articolo. E’ una poesia sulla percezione di un solo attimo, forse proprio quella “fragilità della ragione” di cui mi parlava Silvana, da cui è dipeso un intero destino. 

IL BIVIO

D’un tratto il mio viso arrossì …
Il cuore a dismisura colpiva lo sterno dove
il battito tambureggiava un’ansia preoccupante…
Scelsi il facile lasciando il difficile
e mi ritrovai prigioniero di una vita non mia…
Dopo decenni mi accorsi che la fatica
della scelta avrebbe più premiato il difficile…
Come un viaggio a ritroso donerei l’anima
per ritrovarmi in piedi, paonazzo .
al posto del cuore un tamburo
davanti alla scelta due strade, due destini…
Piango … sceglierei il modo di vivere più difficile…
Oggi mi ritrovo colpito dalle corde
di una chitarra che suona le melodie della rivalsa.

Marcello C.

“in Gridi e preghiere, © 2019 La Vita Felice, Milano”

 

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