Un bar di Milano. Divanetti bassi bordeaux, tovagliette rosa decorate. Legno scuro. Neanche un quadro è cambiato dai tempi dell’Università.
Il Caribe era il mio posto segreto dei panini in via De Togni, in uno stabile d’epoca dietro la caciara dei bar alla moda dell’Università Cattolica. Ti accoglie Damiano, personaggio dall’età indefinita, con i soliti jeans blu di allora, un grembiulino, gli immancabili baffi lunghi e gli occhialetti, e il capello brizzolato selvaggio. “Ciao piccola! Vai in piccionaia o mangi giù?”
Damiano chiama tutte amore e a distanza di vent’anni (vent’anni!!) i panini sono esattamente gli stessi, e i suoi scherzi pure. Fa gli stessi giochi di parole che all’Università ci scocciavano un po’, perché allora lui era uno più vecchio di noi e noi avevamo cose serie di cui parlare: politiche internazionali, migrazioni, microeconomia. Stress veri da condividere: esami, droghe, litigate. Oppure, a seconda dei giorni: amicizie distrutte e ricucite, amori passionali o gossip sui prof. In ogni caso, diciamocelo, i panini erano pazzeschi, a Damiano si sorrideva sempre ma si tenevano le distanze.
Oggi, vent’anni dopo, al Caribe sembra che il tempo non sia mai passato: il suo socio che assembla panini è sempre il solito signore in carne e dall’aria gentile, sta nell’ombra mentre Damiano fa lo show coi clienti su e giù dalle scale, parla coi clienti per frasi fatte e per sberleffi, e la signora che sta al banco del caffè è sempre presente, vestita di chiaro, riservatissima padrona di casa.
Davvero questi tre non so quanti anni abbiano oggi, e soprattutto non so come sia possibile che vent’anni fa fossero esattamente così. Non sono cambiati di una ruga. Un po’ come Mick Jagger, che quando aveva 40 anni ne dimostrava 70, e adesso che ne ha 76 ne dimostra sempre 70. E’ un posto fuori dal tempo il Caribe, con le stesse pale al soffitto, lo stesso stile anni Settanta bello nella sua bruttezza assoluta ed essenziale, la stessa clientela: lavoratori non più giovani come me, spesso solitari e a volte in coppia, e qualche universitario scappato dalla ressa del Magenta e compagnia.
Il Caribe non prende carte, si paga solo in contanti. I panini costano tutti sempre democraticamente 5 Euro, l’acqua frizzante o naturale ti è sempre servita in un bicchiere con ghiaccio e limone a 50 cent, a meno che tu non chieda la bottiglietta…le complicazioni insomma sono ridotte al minimo. E forse è questo che lo fa essere uno dei luoghi del mio cuore. Uno dei primi in cui portai il Micio durante i nostri fine settimana insieme. Non poteva conoscere me senza conoscere il Caribe. Uno dei primi luoghi in cui sono voluta tornare nella mia nuova vita milanese, temendo non esistesse più, perché già allora sembrava che fosse lì da sempre. Il Caribe per me è come un fratello maggiore, estroverso ma non troppo, che ti accoglie ma non ti abbraccia, che ti fa spostare se gli serve ma ti offre il caffè se devi andare a prelevare solo per quello. Un fratello che sai sempre dove trovare quando ne hai bisogno. Un fratello che non hai idea di cosa faccia la sera, ma a pranzo sarà lì, sempre con lo stesso identico pane in tavola e le stesse cose in frigo. Che non si capisce se è di buon umore o no perché non serve capirlo: il Caribe è uno spettacolo, che si ripete, sempre uguale, sempre uguale, sempre uguale. E così ti permette di non pensare, e questo è un grande lusso quando non hai più vent’anni e di cose da pensare ne hai a bizzeffe.
Ah, il Caribe in realtà si chiamerebbe Bar Anny Caffé Caribe, ma come le persone a cui si vuole più bene, i luoghi del cuore hanno tutti un soprannome. E il Caribe è il Caribe.
Olé Olé Olé