Otranto, ma quanto è bella Otranto?
Appunti sparsi. Mare calmo. Cristallino. Acqua del porto che pare caraibica.
Forse è perché è fuori stagione? No, è un gioco di correnti, mi dicono.
Certo, per arrivarci è stata un’impresa. Prima un volo spaventoso, in cui emerge il fatalismo che è in noi quando il comandante non riesce ad atterrare,riprende quota e la vicina vomita in un sacchetto, i passeggeri piangono o si tengono forte al passeggero davanti, come se potesse davvero salvarli, e poi un viaggio in treno lunghissimo. 80km tra Brindisi e Otranto, e tre cambi. Prima Lecce, poi Zollino, poi Maglie, infine Otranto.
Una vicina di posto olandese mi fa parlare solo del bello di quei posti, è amazed dalla natura, dai ritmi, dal caldo. Bene così, non ho voglia di discutere di nient’altro, ma solo di quanto è bello questo cielo terso. Di quanto è bello non essere scomparsa in quel cielo poco prima, in un incidente aereo.
Una parte del tragitto la faccio su un micro treno a un solo vagone, mi dà leggerezza solo a guardarlo. Salto su con il mio zaino in spalla, dimenticandomi che a Otranto sto andando per lavoro. Ho bisogno di qualche ora di decompressione, niente di meglio di questo vagone. Sarò ammaliata dalla bellezza di questa città, che è Oriente e Occidente insieme, un connubio di passato e presente, di storia e di turismo. Il punto più a Est d’Italia.
Chi mi ha invitata in questa terra è Lucia dal Negro, splendida bellezza delicata veronese di mezzosangue pugliese, che mi ha scelta per far parte della squadra di Lol-Leftover Lovers , una sperimentazione nel Salento contro lo spreco alimentare.
Lucia mi racconterà molto di Otranto e della sua storia. Mi dirà dei numerosi simboli e delle interpretazioni del mosaico della Cattedrale, mi parlerà dell’Otranto bizantina e romana, e mi parlerà, soprattutto, dell’uccisione degli 800 Martiri, in quel 1480, che ci riporta indietro ai tempi dell’Università. Non sembra logico come collegamento, eppure lo è. Lucia l’ho conosciuta lì, con lei ho condiviso emozioni, risate, ma anche panico e incubi notturni durante il nostro soggiorno a Srebrenica, ad ancora – allora – pochi anni dal genocidio del 1995. Oggi Lucia ha creato De-Lab, una società Benefit, un laboratorio di progettazione sociale in cui si lavora sui temi dell’Innovazione Sociale, della Comunicazione Etica d’Impresa, del Business Inclusivo. Lucia è sempre in prima linea, ha la capacità di attorniarsi dei professionisti più adatti e lavora solo con persone di fiducia. Le nostre riunioni mi fanno sempre sentire in uno di quei film americani in cui, volente o nolente, “you are writing history”, perché non sai mai dove ti porterà De-Lab, non sai mai da quei brainstorming e dal suo ingegno pacato che cosa emergerà.
Una sera di meno di un anno fa si presentò a casa nostra con un’idea dal nome quanto meno curioso, “Kokono“, che significa zucca vuota in ugandese. Neanche un anno dopo quell’idea si è trasformata in un vero e proprio progetto, presentato al Salone della Csr e dell’Innovazione Sociale di Milano, in partenariato con Amref: un porta-bambino pensato per proteggere i neonati di comunità a basso reddito in cui la mortalità infantile è ancora dovuta a malattie infettive, incidenti domestici, e morsi e attacchi di roditori e rettili. I primi 1000 pezzi saranno prodotti a inizio 2020.
Potrei elencare i numerosi premi che Lucia ha già vinto (tra gli altri: Girls in Tech, Imprenditoria Giovanile Innovativa), tutte le conferenze in cui è già stata speaker (tra cui TED, Seeds&Chips, Disruptive Innovation Festival), potrei intervistarla Lucia, ma la verità è che sentendola spesso, lavorandoci, scambiando su argomenti leggeri e su altri più tecnici non ho più la neutralità della giornalista che ascolta, sottolinea, riassume, e forse nei suoi confronti l’ho persa dopo aver condiviso i Balcani, i sacchetti a copertura delle scarpe, Srebrenica e i tragitti densi di un tragico passato recentissimo. Ho la certezza però che di Lucia dal Negro e di De-Lab si sentirà parlare.
Ho un solo consiglio quindi, ed è: stay tuned. I will!