Dal 15 novembre 2019 al 26 gennaio 2020, il Museo Diocesano di Milano ( Piazza Sant’Eustorgio, 3) ospita la mostra di Margherita Lazzati, dal titolo Fotografie in carcere. Manifestazioni della libertà religiosa.
L’esposizione conta 50 immagini in bianco e nero, scelte tra oltre 3000 scatti, con cui la fotografa documenta le esperienze di libero esercizio della fede nella vita quotidiana dei detenuti del Carcere di massima sicurezza di Opera.
Le immagini ritraggono non solo detenuti, ma anche volontari, ministri di culto, agenti, appartenenti a comunità di diverse confessioni religiose, siano essi cattolici, ebrei, evangelici, copti, buddisti, musulmani, còlti nei vari momenti di preghiera e di condivisione.
La fotografa milanese, come nei suoi precedenti lavori, ritrae innanzitutto persone.
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Margherita è stata la prima tappa del mio viaggio in Carcere. L’ho intervistata lo scorso aprile, ed è stata così delicatamente carina da invitarmi alla preview per la stampa di questa bella mostra al Museo Diocesano. Tra un incastro e l’altro, saltando la pausa pranzo e spostando riunioni, sono riuscita ad approfittare di questa occasione, di questo invito così speciale, che mi ha permesso di sentirmi di nuovo una ‘giovane’ giornalista (così, con la sua determinata schiettezza mi ha presentata Margherita), di stringere la mano al direttore Silvio di Gregorio, e di parlare con un agente della sua scorta, un ragazzo a cui daresti vent’anni, e che invece mi spiega di essere agente penitenziario a Opera da 9 anni.
“La realtà dentro al carcere va sempre al di là di ogni immaginazione. È un luogo che volutamente separa dalla società. Chi, come me – dice Margherita – varca quella soglia porta con sé il desiderio di dire che a quell’universo dobbiamo comunque pensare, perché invece della nostra società fa parte. Il mio lavoro vuole essere semplicemente un passo nella direzione di questa consapevolezza.”
Questa mostra non è ‘solo’ un progetto artistico, ma è un vero e proprio progetto sociale. Guardando questi fotografie ci si fa delle domande, si sbircia attraverso la serratura di una porta su un mondo parallelo, quello del carcere, che interroga ed emoziona. Il progetto legato alle manifestazioni di libertà religiosa dei detenuti scaturisce nel 2017 da un incontro della fotografa con l’allora direttore del carcere di Opera, Giacinto Siciliano, proseguendo poi con il successore Silvio Di Gregorio e con il provveditore della Lombardia, Luigi Pagano.
Margherita Lazzati propone il microcosmo del Carcere sotto il profilo multietnico e multiconfessionale: “Ho scelto di ritrarre non solo i luoghi della preghiera e della condivisione -spiega– ma anche i dialoghi, gli sguardi, i gesti rituali, i momenti di convivenza tra persone, che sono poi quelli che maggiormente mi hanno colpita. Questo è un tema a me molto caro. Cerco di rimanere lontana da ogni retorica e di rivolgere la mia indagine unicamente alla ‘persona’. In questo caso mi sono concentrata sull’esperienza che le persone vivono e condividono: un’esperienza di riflessione, preghiera, speranza, disperazione”.
Con una generosità d’animo che ormai colgo e percepisco ogni volta che mi imbatto in lei, Margherita Lazzati ci tiene a parlarmi dell’immane lavoro di progettazione, ideazione, produzione e allestimento della Galleria l’Affiche. “E’ un esempio raro di volontariato culturale, Elisabetta – mi dice – senza di loro non ci sarebbe nulla di ciò che oggi vediamo qui“.
Margherita frequenta il Carcere di massima sicurezza di Opera dal 09 Giugno 2011, e da allora, tutti i sabati, è volontaria presso il «Laboratorio di lettura e scrittura creativa», insieme a Silvana Ceruti (La mia intervista a Silvana Ceruti), a Ornella Bonetti (La mia intervista a Ornella Bonetti), ad Anna Lazzati ( L’intervista di Anna Monestiroli ad Anna Lazzati) e a alcuni altri volontari.
Nel 2018 pubblica “Ritratti in Carcere”, una serie di scatti presentati a Milano già 4 volte, che interpellano chi guarda nell’ambiguità del non riconoscere chi è detenuto da chi è volontario. Un lavoro liberatorio, intenso, generoso, che spinge il comune cittadino a fare un pezzo di strada insieme al detenuto, a mischiare il dentro con il fuori, a cogliere la vita che si cela dietro le sbarre: “in una dimensione nella quale luce, spazio, sfondo, tempo e relazioni appartengono a una realtà tanto definita da non essere modificabile, volevo non raccontare, ma fermare un’apparenza fisica. Un aspetto, una figura, una sembianza, un atteggiamento, un portamento; senza retorica e senza l’ambizione di andare oltre, o cercare di cogliere l’anima”.
La mostra è visitabile negli orari d’apertura del Museo Diocesano di Milano (Piazza Sant’Eustorgio 3, tutti i giorni tranne il lunedì dalle 10 alle 18). Biglietto mostra + Museo Diocesano: intero 8 euro, ridotto e gruppi 6 euro, scuole e oratori 4 euro. Accompagna la mostra, un catalogo Edizioni La Vita Felice (16 euro).