Da oltre un mese viviamo isolati, non vediamo nessun altro, mangiamo le stesse cose, dormiamo nello stesso luogo, usiamo gli stessi tre vestiti, ci inventiamo una vita tutta nuova in un posto che prima era riservato alle vacanze. Siamo genitori diversi da quelli che i bimbi hanno conosciuto fino ad oggi. Io, per lo meno, mi sento così.
I bambini crescono alla velocità della luce. E’ sempre vero, ma lo è di più quando ce li hai accanto 24 ore su 24 e quando non vedono nessun altro oltre a te. Io mi sento così spudoratamente imperfetta, guardo video sui ‘peaceful parents‘, sull”éducation positive et bienveillante‘, sul come crescere ‘happy kids‘ e mi ritrovo – a volte – a fare tutto il contrario: cerco di concentrarmi ma vengo disturbata da litigi futili tra i bimbi e allora urlo, dico cose insensate, uso parole di certo non appropriate per loro, cerco di dar loro attenzione ma in realtà penso alla mail che ho lasciato indietro o a quella chiamata da fare…insomma a tratti sono assente.
Sono diversa da quella che ero, e certo non solo in senso negativo: sono anche molto più affettuosa, su certe cose meno severa, su altre più accondiscendente, più partecipe, più allegra. La spiegazione potrebbe essere semplice: prima il tempo dedicato ai bambini erano solo i ritagli, si trattava di quel paio d’ore dopo una giornata di lavoro e di incombenze, in cui comunque il loro bisogno di attenzione e condivisione non era la mia priorità, ma più importante era cucinare, lavarli, prepararli per essere nuovamente separati dalla notte. Oppure avevo mezz’ora la mattina, una colazione veloce prima di uscire per andare a scuola, presi com’eravamo da mille cose di cui ricordarsi: era tutta una corsa, una to do list, un dirsi ‘e questa è fatta’. Quando Sgretoli era piccola e la lasciavamo al nido ci mandavamo un messaggino ‘pacchettino consegnato’, con un sospiro di sollievo. E via, si partiva per una nuova giornata di problem solving tra adulti stressati almeno quanto noi.
Ora scavo, scavo, scavo negli anfratti più reconditi della mia anima per dare ai bimbi le ultime gocce di pazienza dopo 12 ore di presenza. Ma quando faccio un bilancio a fine giornata mi dico che di quelle 12 ore alcune me le sono proprio godute con loro. Sto facendo il pieno di giornate insieme, come prima poteva accadere solo nel week-end. Penso alla me di prima, che arrivava alla domenica sera felice che fosse lunedì, per potermi riposare un po’ in ufficio. Era come andare alla spa dopo un fine settimana di sollecitazioni e urla, risate e casino. Il we era troppo corto, non c’era il tempo di prepararsi e se ne usciva troppo in fretta. Oggi invece non vedo l’ora che arrivi il sabato perché non dovrò stare attenta a skype, alle mail, alle telefonate. Il sabato finalmente non dovrò essere ‘multitasking‘, una parola verso cui ho sempre provato una certa diffidenza, e che non ho mai preso come un complimento. Il venerdì sera ora, invece di pensare alla babysitter che sta arrivando perché finalmente io e il Micio abbiamo una serata per noi, penso al fatto che domani è sabato con un sorriso. Le settimane volano, un’altra è passata e io domani potrò rilassarmi. Tutti e 5 potremo farlo. Senza poter uscire.
I miei figli non toccano un marciapiede da 29 giorni. Se me l’avessero detto un anno fa giuro che avrei preso chiunque per pazzo. E invece ora siamo sempre noi, più cresciuti, uguali ma diversi. Il Micio fa cose prima impensabili: impasta pizze e focacce mentre è in call di lavoro, lo trovi a metà mattina in cucina che riempie la lavastoviglie, mentre è in call di lavoro, si mette la sveglia a metà pomeriggio per cuocere le lenticchie….mentre è in call di lavoro. E io? Io metto a letto i bimbi come mai ho fatto prima, ascoltando Zanna Bianca o il Diario di una Schiappa fino a che non si addormentano, tenendo loro le mani e sentendoli che si abbandonano al sonno. La giornata finisce sempre in dolcezza, anche perché io e il Micio non abbiamo più la smaniosa premura di ritrovarci in sala con un bicchiere di vino per chiacchierare mezz’ora prima di crollare. Come se i bimbi fossero d’intralcio. E così tutto si fa più lentamente, e i bimbi sfruttano il buio della notte per farmi domande, accarezzarmi, sentirmi vicina. I ritmi sono più facili da gestire, e noi due più rilassati, perché ci siamo incrociati mille volte durante il giorno, ci siamo scambiati tanti sguardi, abbiamo bevuto lo stesso caffè e abbiamo anche – talvolta – lavorato fianco a fianco. So bene che la nostra è una situazione da privilegiati, siamo in una casa al mare con una terrazza piatta che copre tutto il palazzo, con un clima primaverile mediterraneo, non abbiamo paura che finiscano i soldi per la spesa, abbiamo il wifi e abbastanza computer per gestire i compiti e le lezioni online, oltre ai lavori. Eppure l’inizio non è stato affatto facile, ci abbiamo messo qualche settimana ad adattarci, ma ora ci sono cose che sicuramente mi mancheranno. L’odore di mare la mattina, la tramontana, il garrito dei gabbiani, i gattini neri sul cofano della nostra macchina ferma da quasi due mesi, il profumo del pane appena sfornato, le gote rosse e il lavoro a fine pomeriggio in terrazza, il cibo sano e nostrano, la gestione del tempo, la vicinanza dei bambini. Si, persino la vicinanza fisica dei bambini mi mancherà.
Ne usciremo, certo. Torneremo a Milano, quello è sicuro. Ma non torneremo alla vita di prima, semplicemente perché noi non siamo più quelli di prima. Abbiamo scoperto di poter essere molto di più, prendendoci più cura di Noi mentre continuiamo a rispondere al mondo esterno, ad esserne ispirati e da lui sollecitati. Ma la distanza mette un garbo alle richieste, si è più riparati dai doveri, si è presenti e partecipi ma anche distanti e protetti. La vita nel nostro rifugio Covid-19 non è male affatto, e sono davvero grata per questo, scrivo per ricordarmene quando ce ne sarà occasione.