Era un po’ che pensavo di leggere questo libro di Emanuele Trevi. Ha vinto il Premio Strega 2021, come potevo ignorarlo?

L’ho letto. Mi hanno colpito le parole, il vocabolario utilizzato, la forma saggia delle frasi che accompagnano il lettore in un viaggio molto particolare.
A me è sembrato di stare su una poltrona morbida accanto al camino, ad ascoltare un vecchio zio un po’ introverso che vagheggia tra i suoi ricordi. Trevi così vecchio non è, non me ne voglia, ma così è come mi sono visualizzata tra le sue pagine: mi ha invitata a sedermi, mi ha offerto una grappa speziata, io ho fatto finta di berla, e l’ho ascoltato per ore. Ha parlato di vita, di amicizia, di memoria, di morte, di sentimento, di Rocco e Pia e di tanto altro. A volte mi sono persa dei pezzi quando si è fatto prendere da citazioni troppo rievocative, forse troppo colte per la sua giovane ospite sulla poltrona di velluto. Ma poi, con grazia, Trevi mi ha sempre ripreso e riportato sull’ascolto vero, quello che si riserva ai capolavori della letteratura.
Credo che questo sia un libro da risfogliare più volte, uno di quelli da tenere in libreria per approfondirne il contenuto e per andare a fare qualche ricerca quando si trova il tempo.
“Perché noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno”.